Paolo Tamai e Marina Ceconi
Titolari de Gli Orti di Venezia
“Se vogliamo che il cliente italiano preferisca un prodotto nazionale a uno proveniente dall'estero, dobbiamo offrire sia qualità sia un legame a una causa legata al territorio di provenienza. Questo processo virtuoso, se esteso a rete, può dare grandi risultati non solo per il settore ortofrutticolo, ma per tutto il sistema-Paese”.

Paolo Tamai, con un robusto background nel settore orticolo, nel
2010 ha realizzato l'idea di creare un marchio di insalate di quarta
gamma strettamente sinergico con un progetto di marketing territoriale
locale. Quali sono stati i presupposti alla base di questa idea
che ha avuto un'interessante evoluzione in progress, passando da
un giro d'affare di 170mila euro nel primo anno di attività
alla tendenza prevista di oltre 1 milione?
Paolo Tamai: “L'idea è stata quella di creare un prodotto
con un marchio che avesse riconoscibilità e valore, affiancando
il suo lancio con un'attività di marketing territoriale collegato
da una causa sociale. Grazie ad una collaborazione già esistente
con l'azienda "L'insalata dell'orto", abbiamo sviluppato il progetto
di creazione della nostra gamma di prodotti, avvalendoci delle strutture
produttive certificate di questa realtà che faceva al caso
nostro, affiancandolo con lo studio di soluzioni che potessero sia
sostenere, attraverso la vendita e la promozione del prodotto, la
valorizzazione di un territorio al quale, io e mia moglie Marina,
siamo profondamente legati, sia favorire la penetrazione del brand,
che abbiamo chiamato "Gli Orti di Venezia", per evocare la radicata
e secolare presenza di colture orticole tipiche nel territorio che
circonda la città lagunare”.

Nella prima domanda ho parlato subito di crescita del volume d'affari:
questo è l'obiettivo di ogni azienda, e non c'è bisogno
di scomodare il Max Weber di Economia e società per spiegarlo.
Come sappiamo, tuttavia, l'economia tout court è strettamente
collegata con un'infinità di altre variabili di tipo sociale.
Il sistema economico e quello socio-culturale sono infatti fortemente
interrelati. Nel caso de "Gli Orti di Venezia", che ha impostato
la sua mission aziendale su una crescita parallela ed integrata
del volume produttivo e di vendita con la possibilità di
investire parte di questi introiti nel recupero e restauro di opere
d'arte sul territorio, appare chiaramente questa consapevolezza.
Quali sono le sue potenzialità?
Marina Ceconi: “La nostra esperienza manifesta un aspetto fondamentale:
se una realtà imprenditoriale parte con il progetto di destinare
una parte dei propri realizzi per azioni che valorizzano ciò
che di importante offre un territorio - ad esempio il patrimonio
artistico - è chiaro che più cresce il proprio volume
produttivo e la sua consistenza economica, maggiori sono le possibilità
di contribuire al restauro e alla valorizzazione di opere d'arte
e maggiore diventa la visibilità e la fidelizzazione del
consumatore. Si tratta di un circuito virtuoso che, se esteso a
rete, può dare grandi risultati per un Paese come l'Italia,
nel quale spesso si stenta a dare valore aggiunto al suo straordinario
patrimonio non solo artistico, architettonico ed urbanistico, ma
anche paesaggistico e di prodotti tipici, soprattutto agro-alimentari.
Infatti la cultura di un territorio è un insieme di tutto
ciò che lo rappresenta: storia, tradizioni, arte, architettura,
urbanistica, prodotti tipici, gastronomia, cibo. Non a caso il claim
scelto per le nostre insalate è: buone due volte. Anche un
prodotto semplice come un'insalata può contribuire fortemente
a creare energia virtuosa da questo punto di vista. Come? Creando
innanzitutto un brand legato con evidenza al territorio, coinvolgendo
attori della distribuzione commerciale nella sensibilizzazione dei
cittadini all'acquisto di un prodotto etico, promuovendo iniziative
collegate. Tra i fenomeni di sempre, ma soprattutto di oggi, c'è
la sempre maggiore richiesta da parte dei cittadini di partecipazione.
Nel nostro caso, chi sceglie di acquistare i nostri prodotti, si
sente soggetto attivo e consapevole dato che contribuisce materialmente
al recupero di opere d'arte presenti sul territorio in cui vive
e può visitare ogni volta che lo desidera. Più la
nostra attività si estende e più aumentano le possibilità
di finanziare operazioni di questo tipo”.
Paolo Tamai: “Nel maggio 2016, sono apparse sul mercato italiano, pesche spagnole con un marchio - un bollino apposto su ogni singolo frutto - che rappresentava un'opera celeberrima di un genio italiano, La Gioconda di Leonardo da Vinci. L'idea è di un'azienda spagnola - che utilizza il medesimo brand anche per commercializzare le proprie pesche sul mercato francese, pur con il minimo adattamento linguistico - on un Paese, l'Italia, con alta sensibilità nei confronti della famosissima tela dell'artista toscano ...”.

Produttori italiani potrebbe apparire persino una beffa:
non si tratta tuttavia di stare a guardare quello che fano i competitor,
ma di essere più propositivi nel creare sinergie tra i prodotti
e il valore artistico, paesaggistico e culturale di un territorio
e trasformarle in concrete azioni in Italia e anche all'estero ...
Non per fare dell'ironia, ma forse sarebbe difficile che un'azienda
frutticola italiana proponesse con egual impatto le proprie pesche
sul mercato spagnolo con un simbolo dell'arte iberica come la Maya
desnuda di Francisco Goya ...
Paolo Tamai: “Se siamo costretti a vendere pesche italiane sottocosto,
che significato ha la loro valorizzazione, il prestigio di un prodotto
che dovrebbe per principio offrire qualità affinché
il consumatore la scelga? Esistono un'infinità di prodotti
orticoli e frutticolo nazionali che potrebbero essere connotati
per il loro legame con il complesso del territorio. L'obiettivo
è quello di convincere il consumatore ad acquistare un prodotto
italiano, anziché sceglierne uno di provenienza straniera
sottocosto oppure ad un prezzo eguale o superiore a quello italiano,
dandogli una motivazione concreta. Se vogliamo che il cliente italiano
preferisca una pesca italiana ad una proveniente dall'estero, dobbiamo
offrire sia qualità sia un legame ad una causa legata al
territorio di provenienza. Così lo si rende partecipe di
un'azione concreta che non è solo quella di un atto privato
qual è quello di acquistare un prodotto italiano, ma anche
quello pubblico di contribuire alla valorizzazione di un tassello
del patrimonio artistico nazionale. I prodotti ortofrutticoli devono
puntare sulla distintività, nel senso di qualità e
legame con il territorio, ma anche su quel plus che deriva dalla
conoscenza e dalla sensibilizzazione del consumatore nei confronti
di altri valori del territorio, come quelli artistici e culturali.
In altri termini, accanto all'innovazione di prodotto, che contribuisce
a rendere allettante per il cliente la sua offerta, dobbiamo intraprendere
azioni che ci consentano di riappropriarci del nostro territorio
e di suscitare un interesse altruistico nei confronti di ciò
che è patrimonio di tutti”.

Quali sono le principali difficoltà
che avete incontrato per la realizzazione del vostro progetto?
Paolo Tamai: “Una delle principali difficoltà è
quella di far comprendere ai nostri clienti (buyer) quanto i consumatori
siano orientati a cogliere opportunità di acquisto che privilegino
il rapporto prodotto-territorio inteso anche come condivisione comune
dei benefici economici che tali iniziative concretizzano”.
"Gli Orti di Venezia" sta estendendo
il proprio raggio d'azione , sia sotto forma di presenza in un numero
sempre più ampio di punti vendita della Gdo, del normal trade
e di strutture di ricezione turistica, sia come impegno in progetti
di Crm. In cantiere la vostra azienda ha anche progetti di presenza
sui mercati esteri? E in che forma si potranno concretizzare, sia
come valorizzazione attrattiva del territorio veneziano, sia come
promozione di sinergie con altre parti del territorio italiano o
di altre località straniere?
Paolo Tamai: “Abbiamo testato due iniziative fuori dell'ambito
della nostra regione, la prima, chiamata "Gli Orti di Venezia per
Eataly", nella quale una parte del ricavato della vendita ha finanziato
un restauro a Palazzo Ducale a Venezia facendo leva sulla popolarità
e sull'eccellenza dell'organizzazione Eataly e sull'amore verso
la città di Venezia; la seconda, "Gli Orti di Venezia per
Trieste": una quota degli introiti derivanti dalla vendita di insalate
distribuite da Coop Alleanza 3.0, hanno finanziato il restauro di
6 dipinti mai pubblicamente esposti che sono andati a costituire
il nucleo inziale della nuova pinacoteca di arte antica a Trieste.
Posso dire che entrambe le iniziative hanno dato risultati molto
soddisfacenti dimostrando che il legame insalate-territorio-cultura
riesce a coinvolgere un numero sempre maggiore di consumatori. Sono
altresì convinto che sia possibile esportare questo modello
di fare impresa all'estero. Infatti, ad esempio, in Paesi dove la
sensibilità per una città-patrimonio, universalmente
riconosciuta qual è Venezia, è particolarmente diffusa,
sarebbe possibile, con la finalità di finanziare il restauro
di opere nella città lagunare, offrire un modo per gustare
un ottimo prodotto italiano e, contestualmente, diventare protagonisti
nella conservazione di Venezia, città unica al mondo”.

Quali sono le prospettive future del
segmento della quarta gamma, secondo lei? E quale contributo può
derivare per l'ulteriore sviluppo di questa parte del settore ortofrutticolo
dalla messa in pratica di progetti di Crm?
Paolo Tamai: “I prodotti di quarta gamma sono stati lambiti solo
marginalmente dal periodo di crisi economica, dimostrando di essere
diventati quasi indispensabile per il consumatore. È vero
che il plus di questo prodotto è quello di offrire un servizio
insostituibile nei nuovi stili di vita. Dobbiamo però fare
attenzione a non distruggere il comparto con la corsa al ribasso
dei prezzi, che apparentemente può sembrare la strada più
breve per mantenere i volumi, ma, in prospettiva, rischia inevitabilmente
di frantumare pezzi della nostra filiera agro-alimentare, come è
già successo in altri settori (lattiero-caseario in primis).
Se viviamo in un'epoca di globalizzazione, e noi stessi ci definiamo
cittadini del mondo, dobbiamo ancor di più avere l'intelligenza
di salvaguardare le specificità del nostro comparto. Credo
che proprio i progetti di Crm possano permettere di rafforzare le
nostre produzioni, se esse riescono a creare un legame con il territorio
e consolidare l'idea di condividere l'enorme patrimonio artistico-culturale
del nostro Paese attraverso l'acquisto di prodotti agro-alimentari
che abbiano la finalità di conservare quello che tutto il
mondo ci invidia. Volendo semplificare con un linguaggio che ci
appartiene: coltiviamo l'arte di conservare. Il legame con
il territorio ci può permettere di rendere ancora più
uniche le nostre produzioni agro-alimentari e, nel contempo, garantire
continuità nella conservazione delle nostre bellezze. Questa
non è la soluzione a tutti i problemi, ma sicuramente è
un modo concreto per creare sviluppo utilizzando risorse già
disponibili”.